Tratto da il "Resto del Carlino"
Odissea greca per due ascolani:
"Presi di mira perché italiani"
I due ragazzi, entrambi 27enni, erano in vacanza nell'isola di Zante quando sono stati aggrediti per futili motivi. Prima il pestaggio, poi le mille difficoltà per sporgere la denuncia. Il racconto di uno dei due
Ascoli, 3 settembre 2008 - Come una vacanza in Grecia si trasforma in incubo. Anzi, in odissea. E’ successo a Davide V. e Roberto C., due ventisettenni ascolani che avevano deciso di passare gli ultimi dieci giorni di agosto a Zante. ''Senza sapere — racconta Davide — che lì va di moda la ‘caccia all’italiano’''.
Ma passiamo ai fatti. Davide e Roberto, la sera del 23 agosto, sono a cena in un ristorante che si trova nel corso principale di Lagana’s, piccolo centro dell’isola. Ad un certo punto entra una ragazza, sui 18 anni, e Roberto le offre, in inglese, da bere. Lei esce di corsa dal locale. Dopo due minuti è di nuovo dentro, ma accompagnata dal fratello che prima minaccia di morte Roberto, poi gli circonda con il braccio il collo e stringe.
Il ragazzo è paonazzo, Davide chiede aiuto, non sa cosa fare. Solo l’intervento del gestore del ristorante riesce a liberarlo dalla morsa. Intanto, nel locale sono arrivati anche i genitori del giovane greco, proprietari di un negozio che si trova proprio di fronte al ristorante: chiedono spiegazioni ai due turisti ed allontanano il figlio. Tanta la paura e la rabbia, ma sembra tutto finito lì.
Purtroppo però, così non è. Perché il giorno dopo, Davide e Roberto sono di nuovo a passeggio per il corso. E’ circa mezzanotte, ma c’è movimento. Si trovano a passare di fronte al negozio del giovane greco. Davide lo vede. E’ fuori a fumarsi una sigaretta. Con la coda dell’occhio intuisce un cenno di lui ad altri ragazzi. E allora accelera il passo. Inizia un inseguimento.
''In tre ci stavano dietro — dice ancora Davide — mentre due di fianco. Poi il greco ha detto al mio amico: ‘ti ricordi di me? Sono quello di ieri’. Ed è iniziato il pestaggio. Pugni e calci, tanti alla testa. Roberto poteva solo difendersi. Io ero bloccato dagli altri quattro. Cinque minuti che sono sembrati infiniti. Nessuno è intervenuto. Poi per fortuna se ne sono andati e noi siamo corsi alla polizia''.
E qui, inizia la seconda fase dell’odissea. Perché in commissariato, quando arrivano per sporgere denuncia, iniziano altri problemi. Gli agenti gli dicono che per denunciare l’aggressione è meglio avere il referto medico. Davide e Roberto (che intanto sanguina e non si tiene dritto) chiedono almeno che venga chiamata un’ambulanza. ''Nell’isola ce n’è una sola e noi la chiamiamo solo in punto di morte'' gli viene risposto.
Col taxi arrivano al pronto soccorso a 11 chilometri di distanza (''più che un ospedale, una macelleria, viste le condizioni igieniche'' come commenta ancora Davide) e a Roberto viene diagnosticata una brutta lesione al timpano. Tornano col referto alla polizia. E stavolta gli dicono che la denuncia deve essere fatta per forza in greco e dunque serve un traduttore (con una spesa a partire da 50 euro).
Fatto anche questo, gli consigliano di ‘appostarsi’ di fronte al negozio per aspettare il giovane, e tornare subito in commissariato quando questo fosse arrivato, per procedere con l’arresto. Così fanno. Ma quando tornano ancora dalla polizia, li fanno aspettare.
Poi, insieme, finalmente vanno nel negozio e prendono il ragazzo che, arrivato in commissariato ''fa una miriade di telefonate. Arrivano i genitori e dicono che il mio amico ha ‘toccato la figlia’. E che ci saremmo dovuti preparare al processo, in Grecia. A questo punto, la polizia ci consiglia di metterci d’accordo. E il padre di lui ci dà 150 euro, chiedendoci di lasciar perdere. Tutto ciò, comunicando esclusivamente in inglese. Ora mi domando: ma se non avessimo saputo la lingua come avremmo fatto? E sopratutto: perché la polizia, invece di aiutare noi, che eravamo vittime, ha fatto di tutto per metterci in difficoltà? Tra l’altro, non siamo stati gli unici turisti italiani presi di mira. A noi è andata peggio. Comunque — la conclusione di Davide —, non finisce qui''.
Nicoletta Tempera
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